GARIBALDI VIVO
di Aldo A. Mola
Giuseppe Garibaldi (Nizza Marittima, 4 luglio 1807 – Caprera, 2 giugno 1882) evoca il mare, nel quale si riconobbe dalla fanciullezza alla morte.
Aldo A. MolaLa sua vita si sviluppò come una sinfonia in quattro tempi. Il primo abbracciò i suoi primi 53 anni. Ora flutto appena percettibile, ora onda impetuosa, esso fu scandito in diversi “movimenti”, dai viaggi nel Mediterraneo orientale alla scoperta della “questione italiana”, dalla cospirazione patriottica nel 1834 al forzato esilio dal Mar Nero all’America meridionale, teatro di battaglie sino alla vittoria di Sant’Antonio del Salto a capo della legione italiana (1846) allestita a Montevideo in difesa della Repubblica dell’Uruguay contro il reazionario Manuel Oribe. Il secondo movimento di quel primo tempo è tutto dedicato a fare dell’“Italia” uno Stato indipendente, unito e libero: la prima guerra per l’indipendenza, la proclamazione della Repubblica romana, la marcia verso Venezia, la “trafila” dal Capanno al Tirreno, il secondo esilio, il grande ritorno da vicepresidente della Società Nazionale con l’insegna “Italia e Vittorio Emanuele”, la divisa di generale del regio esercito alla testa dei Cacciatori delle Alpi e l’impresa dei Mille che calamitò l’attenzione mondiale.

Poco prima della sua vittoriosa conclusione Garibaldi aprì il secondo tempo della sua vita inimitabile con l’intuizione della nuova frontiera: l’unità europea, proposta dopo la brillante vittoria del Volturno sulle truppe borboniche (vi mostrò qualità di generale) e prima dell’incontro di Vairano Catena ove salutò Vittorio Emanuele “re d’Italia”. La questione nazionale andava risolta con la transizione dell’Europa dal concerto di potenze, che aggiornava e perpetuava i cardini del congresso di Vienna, all’unione fraterna dei popoli. Nel Memorandum dell’ottobre 1860 scrisse: “Supponiamo che l’Europa formasse un solo stato. Chi mai penserebbe di disturbarlo in casa sua? Chi mai si avviserebbe di turbare il riposo di questa sovrana del mondo?”. Era la via per conciliare pace, progresso scientifico, lavoro. Anche quel secondo tempo contò diversi “movimenti”: la spedizione “Roma o morte” dell’estate 1862, il viaggio del 1864 in Gran Bretagna, ove fu accolto da entusiastica manifestazione popolare, l’epopea dei volontari al suo seguito nella guerra del 1866 che lo vide avanzare verso Trento, la campagna nell’Agro romano chiusa tragicamente a Mentana nel novembre 1867, l’intervento nei Vosgi in difesa della neonata Repubblica francese, l’elezione alla Camera adunata a Bordeaux, che lo rifiutò.
Vinta l’amarezza a fronte dell’ingratitudine della “sorella latina”, Garibaldi aprì il terzo tempo della “grande opera” con la proposta di Unità mondiale, amalgama delle molte unità storicamente definite: la germanica, la slava, la scandinava, la musulmana e la latina, altra cosa da quella cristiana, impoverita dal papato e dalle rivendicazioni temporalistiche di Pio IX anche dopo Porta Pia. L’unione politica mondiale non poteva scaturire da quella delle religioni, tutte succube delle diverse “chiese”, ma dall’avvento di una lingua universale e dall’insegnamento della scienza contro le mistificazioni. Il 6 settembre 1870, quattro giorni dopo il crollo di Napoleone III a Sedan e mentre il governo organizzava l’espugnazione di Roma, Garibaldi propose l’istituzione di un areopago nella sua Nizza per proclamare la pace universale (sulla scia del congresso di Ginevra del 1867) e varare la soluzione pattizia delle controversie interstatuali. Vi tornò ripetutamente negli anni seguenti.
Il quarto tempo della sinfonia di Garibaldi fu il suo magistero civile. In una lettera del 14 novembre 1871 a Giorgio Pallavicino respinse i precetti: “Guerra al Capitale; la proprietà è un furto; l’eredità è un altro furto e via dicendo”. Adulare il popolo con messaggi ingannevoli avrebbe fatto dell’Italia “un bordello”. Per lui Caprera era la libertà. Da trent’anni apparteneva all’Internazionale “azzurra”, la massoneria universale. Disapprovò “i scioperi”, rivendicò la “dittatura onesta, solo antidoto a sradicare i cancri di questa società corrotta” e avvertì: “Contro il Papa, io fui coi protestanti, senza essere presbitero, metodista od altro. Contro i Sella i Minghetti e C. io sarò col diavolo per combatterli”.
Rotti i ponti con Mazzini e mazzinerie, fece sua la missione del dotto: scrivere “per il popolo”. Romanzi storici, per “ricordare chi aveva lasciato la vita sui campi di battaglia”, “trattenersi colla gioventù italiana” e “campare anche un po’ col suo guadagno”. Lo secondavano i ministri della Pubblica istruzione, come Michele Coppino che fece decretare obbligatoria e gratuita l’istruzione elementare, e Francesco De Sanctis, sempre fedele al suo “Discorso ai giovani” del 1848. La scuola, i maestri e le maestre (Garibaldi ne iniziò alcune in loggia) erano il futuro, come scrisse in Clelia o il governo del monaco, in I Mille e in Manlio, inedito sino al 1982.
“Insegnare il vero” fu il motivo conduttore della lunga sinfonia della sua vita, fatta di attenzione per la natura in tutte le sue forme. Mentre guidava i volontari del 1866 raccomandava alla figlia Teresita di innaffiare le zolle degli alberi e abbeverare gli armenti. Su suo impulso nacquero la Società di Tiro a Segno, perché la carabina è garanzia dei popoli iberi, e quella per la protezione degli animali.
Fu molto più che un Generale o un “eroe”. Fu un Poeta, una sequenza di flutti e di tempeste come il Canto: “Si scopron le tombe/ si levano i morti./ I martiri nostri/ son tutti risorti…”: non solo gli italiani del tempo suo ma anche dei secoli andati, come, su suo impulso, affermò Giuseppe Ricciardi nell’Anticoncilio di Napoli il 9 dicembre 1869.

Garibaldi dettò infine quanto voleva per la sua salma: la pira omerica. Ma Francesco Crispi, il “secondo dei Mille”, ne fece un “cadavere di Stato”, compatibile con il trasformismo di Agostino Depretis. Così il “Solitario”, come Garibaldi amò definirsi, divenne una somma di “monumenti”. Fu messa la sordina al suo mònito: “guarire la gran piaga della miseria”. Ma il suo mare attende il vento, che spira dove vuole (insegna Giovanni Evangelista) e tornerà a gonfiarne le onde.
Aldo A. Mola
Aldo Mola (Cuneo, 1943) ha scritto biografie (Giuseppe Mazzini, Silvio Pellico, Giosuè Carducci, Giovanni Giolitti…), Storia della Massoneria (1976), Storia della monarchia (2002), Italia un Paese speciale (2011). Già docente, preside di liceo e professore a contratto all’Università Statale di Milano, ha pubblicato “Per una scuola che funzioni”. Dal 1980 è Medaglia d’oro per la Scuola.
ALCUNI PENSIERI MASSONICI DI GARIBALDI
Massone sotto la volta celeste
In partenza per l’Italia Garibaldi salutò i fratelli della sua loggia, «Les Amis de la Patrie» di Montevideo (Grande Oriente di Francia all’epoca in rapporti fraterni con la Gran Loggia Unita d’Inghilterra).
AD Adolphe Vaillant
Montevideo, 13 marzo 1848
Mio C.’ . [aro] F.’ . [ratello],
poiché i miei impegni m’impediscono di soddisfare il desiderio di andarmi a congedare di persona dai miei C.’. [ arissimi] F.’. [ratelli] della Loggia, vi prego di voler avere la bontà di presentare voi stesso alloro rispettabile consesso i miei addii, i miei auguri per la loro felicità e la mia speranza di conservarmi, in qualunque parte del mondo io mi trovi, loro devoto F.’. [ratello] e sempre pronto a dedicarmi al sacro rito, al quale ho l’onore di appartenere.
Gradite, C. .. [arissimo ] F … [ratello], i miei sentimenti d’amicizia e di rispetto F … [raterno] e siate certo che io sarò per tutta la vita vostro devoto F. ‘. [ratello]
Gran maestro: «lo scopo cui ho mirato in tutta la mia vita»
Giuseppe Garibaldi al Supremo Consiglio di Palermo
Torino, 30 marzo 1862 E.’.[ra] V.’,[olgare]
Ill.·. ffr.·.
Assumo di gran cuore il supremo ufficio di capo della Mass.·. It.·. costituita secondo il rito scozz.·. rif.·.(ormato) ed accet.·. Lo assumo, perché mi viene conferito dal libero voto di uomini liberi, a cui devo la mia gratitudine non solamente per l’espressione della loro fiducia in me nello avermi elevato a così altissimo posto, quanto per l’appoggio che essi mi diedero, da Marsala al Volturno, nella grande opera dello affrancamento delle provincie meridionali.
Cotesta nomina a G.’. M.’. è la più solenne interpretazione delle tendenze dell’animo mio, de’ miei voti, dello scopo cui ho mirato in tutta la mia vita. Ed io vi do sicurtà, che mercé vostra e colla cooperazione di tutti i nostri ffr.·., la bandiera d’Italia, ch’è quella dell’umanità, sarà il faro da cui partirà per tutto il mondo la luce del vero progresso.
Che il G.’. A.’. dell’U.·. spanda le sue benedizioni su tutte le LL.’., e che ci guardi sempre con occhio propizio e ci continui le sue grazie il nostro divino protettore S. Giovanni di Scozia.
Abbiatevi il bacio fr.·.
A passo rituale sulla via di Roma
Alla vigilia d’intraprendere l’impresa di Roma, nel luglio 1862, Garibaldi volle far iniziare ai «misteri dell’ordine massonico» lo «Stato maggiore» del laicismo italiano,
A.’ G.’ .D,· .G.· .A.· .D.·.U.·.
Valle di Palermo, 3 luglio 5862 E.’ .V.·.
Desidero che le persone qui sotto notate vengano iniziate regolarmente ai misteri dell’Or.’. [dine] M.’ , [assonico] in alcune delle RR.·. [ispettabili] LL.’. [logge] poste sotto a questo O.’. [riente]. E a tal fine cogli altri poteri a me conferiti gli dispenso dalle solite formalità.
Ripari Pietro di Cremona di anni 60
Bruzzesi Giacinto – romano 40
Missori Giuseppe – Milano 33
Nullo Francesco – Bergamo 36
Chiassi Giov. – Mantova 35
Basso Giov. – Nizza 38
Guastalla Enrico – Mantova 33
Nuvolari Giuseppe – Mantova 40
Guerzoni Giuseppe – Brescia 29
Bedeschini Francesco – Venezia 28
Forza Pietro – Venezia 28
Frigyesi Gustavo – Ungheria 30
Il G.’ . [ran] M.’ . [aestro] G.’ . [ran] C.’. [ommendatore] dell’Ord.·. [ine] M.’. [assonico] G. Garibaldi 33.’.
A Ludovico Frapolli
Caprera, 22 gennaio 1864 E. ‘. V. ..
Con i poteri che mi sono conferiti, Io, Gran Maestro, in nome del G.·.[rande] A.·.[rchitetto dell’Universo), ho creato il sig. Bokounin [recte: Bakunin] fratello di 30° [grado del Rito scozzese antico e accettato] e prego il Fratello Frapolli di regolarizzare la sua posizione.
Al Congresso della Pace (Ginevra, settembre 1867)
Il Generale conchiuse il proprio dire con una serie di risoluzioni così concepite:
1° Tutte le nazioni sono sorelle.
2° La guerra tra loro è impossibile.
3° Tutte le querele che sorgeranno tra le nazioni dovranno essere giudicate da un Congresso.
4° I membri del Congresso saranno nominati dalle società democratiche dei popoli.
5° Ciascun popolo avrà diritto al voto al Congresso, qualunque sia il numero dei suoi membri.
6° Il papato, essendo la più nociva delle sette, è dichiarato decaduto.
7° La religione di Dio è adottata dal Congresso e ciascuno dei suoi membri si obbliga a propagarla. Intendo per religione di Dio la religione della verità e della ragione.
8° Supplire al sacerdozio delle rivelazioni e della ignoranza col sacerdozio della scienza e della intelligenza.
La democrazia sola può rimediare al flagello della guerra.
Lo schiavo solo ha il diritto di far la guerra al tiranno, è il solo caso in cui la guerra è permessa.
«L’unità massonica trarrà a sé l’unità politica d’Italia»
Nei mesi precedenti l’ultimo tentativo di risolvere la «questione romana» Garibaldi scrisse:
Al Sup.·. C. ‘. (onsiglio) di Palermo
Firenze, 18 maggio 1867. E.’. V.’.
FF .’. [ratelli],
Come non abbiamo ancora patria perché non abbiamo Roma, così non abbiamo Mass.·. perché divisi. Se la vecchia lupa della diplomazia da una parte, e l’apatia del popolo dall’altra, ci contendono Roma, chi in Massoneria potrà mai contenderci una patria, una Roma morale una Roma Mass.·.?
lo sono di parere che l’unità Mass.·. trarrà a sé l’unità politica d’Italia. È quindi mio vivo desiderio che un’ Assemblea sia convocata, onde ne sorga una Costituente.
Facciasi in Mass.·. quel Fascio Romano che ad onta di tanti sforzi non si è potuto ancora ottenere in politica.
lo reputo i massoni eletta porzione del popolo italiano.
Essi pongano da parte le passioni prof.(ane) e con la coscienza dell’ alta missione che dalla nobile istituzione Mass.·. gli è affidata, creino l’unità morale della Nazione. Noi non abbiamo ancora l’unità morale; che la Mass. ‘. faccia questa, e quella sarà subito fatta.
FF.·.
Io altro non aggiungo. Voi della sacra e sventurata Terra delle iniziative, farete opera veramente degna dei figli del Vespro, se alle glorie politiche e patriottiche unite l’aureola della rivoluzione morale e mass.·. Uniamoci! e saremo forti per vincere con la virtù il vizio, col bene il male, e la patria e l’umanità ce ne saranno riconoscenti.
Sono con tutta l’anima
Vostro F.·.
Dichiarazione
Firenze, 21 settembre 1867
Io dichiaro di appartenere ad una sola Massoneria umanitaria, rappresentata dal Grande Oriente, eletto nel giugno prossimo passato in Napoli, residente in Firenze, (mentre non abbiamo Roma), che vuole, in vista dello spirito universale della Massoneria, la fratellanza dei popoli e non le autonomie, le quali sono un regresso, massime nelle aspirazioni italiane.
«Un solo fascio di tutte le associazioni»
Sino all’ultimo Garibaldi tornò a insistere sulla necessità di conciliare la massoneria «ai tempi presenti».
Alla R. ‘. L.’. «Roma e Costituente» – Roma
Caprera, 15 aprile 1872
Cari F.’.,
vi ricambio di cuore il saluto.
Come ben dite, la mass.·. deve identificarsi ai tempi presenti, e quindi stringere in Italia in un solo fascio tutte le associazioni che tendono al bene. È cotesta una missione degna della più antica e più umanitaria delle società esistenti, la mass.·.
Vostro.
“Internazionale Rossa, Internazionale Azzurra…”
Fautore dell’iniziazione massonica femminile, da lui personalmente praticata, Garibaldi contrappose alla Internazionale“rossa”esplosa in Francia nel 1871 con la “Commune” quella “azzurra”. Da Caprera il 14 novembre 1871 scrisse a Giorgio Pallavicino Trivulzio, antico patriota e massone:“Io appartenevo all’Internazionale quando serviva le Repubbliche del Rio Grande e di Montevideo, cioè molto prima di essersi costituita in Europa tale società (…) Io non tolero (sic) all’Internazionale, come non tolero alla monarchia, le loro velleità antropofaghe”, cioè: “Guerra al capitale, la proprietà è un furto, l’eredità un altro furto e via dicendo”. Bisognava impedire che l’Italia divenisse “un bordello rivoluzionario”.
I 20 febbraio 1872 ribadì:”Dichiarare apertamente che sono repubblicano. Disdire che appartengo all’Internazionale. Io credo che conviene lasciar passare questo periodo d’anarchia, che affigge il nostro paese, prima di imprendere qualche cosa di serio; e non avventurarsi come nel ’67 a predicare al deserto”.
Il 13 agosto 1871 a Pallavicino aggiunse:“Io non aprovo i scioperi ma temo finiranno per sconvolgere la società colla quasi impossibilità di resisterne la scossa. Sarà questo il retaggio lasciato ai nostri figli dalle cime archimandrite che sono al timone putrido della cosa pubblica”.