Il Sole Invitto sulla Roma di Nathan ###***### di Aldo Alessandro MOLA

IL SOLE INVITTO SULLA ROMA DI NATHAN

di Aldo Alessandro MOLA

Arrivano il Solstizio d’Estate e il San Giovanni Battista, protettore delle logge con o senza falò, fuochi artificiali e altri sprechi di pubblico danaro. È nelle cose. Come nelle cose è il degrado di molte città, parecchie delle quali sono sull’orlo del fallimento. Quando arriverà il redde rationem da parte dell’esecutivo? O il potere centrale non osa procedere per non vedersi rinfacciare il suo? Il debito pubblico dell’Italia continua a ingigantirsi. È il baratro nel quale il Paese s’inabissa.

Eppure non sempre è andata così. Non mancano esempi che voltar pagina si può. Accadde proprio a Roma all’incirca 110 anni addietro, in un passato che sembra remoto e tuttavia ha molto da insegnare. Tra i suoi amministratori eccellenti all’indomani della sua tardiva e venturosa annessione all’Italia vi fu Luigi Pianciani (Roma, 1810-Spoleto, 1890), primo sindaco della Città Eterna dopo l’irruzione del generale Raffaele Cadorna. Antico Gonfaloniere di Spoleto, perseguitato, esule, autore dei tre volumi “La Roma dei Papi”, deputato, gran jerofante dell’Ordine di Menfi Riformato, Pianciani fu compagno di squadra e compasso di Antonio Labriola, unico socialista scientifico in Italia. Ai più il suo nome oggi dice poco o nulla, eppure fu un protagonista della crescita europea dell’Italia.

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Ernesto NATHAN, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia e Sindaco di Roma (1845-1921)

Dopo di lui venne la breve quanto esemplare stagione di Ernesto Nathan, sindaco della Capitale dal 1907 al 1913. In sette anni voltò pagina. Era nato a Londra il 5 ottobre 1845, quarto dei dieci figli di Moses Meyer Nathan e di Sara (Sarina) Levi Nathan. Educato nel culto di Giuseppe Mazzini, ottenne dal Parlamento la “grande cittadinanza” che gli consentì di esercitare i diritti politici, ma con mediocre successo. Consigliere provinciale a Pesaro fallì ripetutamente l’elezione alla Camera. Gli riuscì invece la fulminea ascesa al vertice del Grande Oriente d’Italia, grazie alla protezione iniziale del gran maestro Adriano Lemmi e al sostegno di Ettore Ferrari, lo scultore che forgiò le statue di Arnaldo da Brescia e di Giordano Bruno. Gran maestro a sua volta dal 1896 al 1903, nel 1906 Nathan pubblicò Vent’anni di vita italiana attraverso all’Annuario” (ed. Roma-Torino, Roux e Viarengo), in cui vaticinò l’operosa convergenza di laici e cattolici e propose quale esempio il comunello di Pianosinatico (o Piano Asinatico), ove la domenica il parroco e i popolani lavoravano insieme a edificare la scuoletta ove sarebbe cresciuta la nuova generazione. Era il viatico perfetto per la Terza Italia, cooperazione di liberali progressisti, demo-radicali e socialisti riformisti con occhio di riguardo per i cattolici modernisti come Fogazzaro, che stavano scompaginando l’unanimismo della chiesa di Pio X, quella del “catechismo” e delle riforme al suo interno e verso l’esterno, studiate con competenza da Gianpaolo Romanato, biografo di Papa Sarto. Nathan vi scrisse con toni profetici: “Tutti vedevo, dal papa instabile e volubile che benediva (sic) l’Italia, dal re che vi consacrò la sua corona, dagli apostoli di penna e di spada che scrissero e pugnarono, al grande coro greco, ai popolani che sui palchi (cioè i patiboli, NdA), nelle carceri intonarono l’inno alla patria…”, tutti intenti “ad innalzare l’edificio nazionale”.

Consigliere comunale a Roma dal 1898 e assessore all’economato e ai beni culturali, dopo un primo successo il 30 giugno 1907, quando i suoi sodali conquistarono 24 dei 29 seggi in palio per un rinnovo parziale del consiglio, alle elezioni generali del 10 novembre seguente Nathan non fu affatto il più votato tra i consiglieri della sua lista e tuttavia venne eletto sindaco. La sua epopea è ripercorsa da Fabio Martini in Nathan e l’invenzione di Roma. Il sindaco che cambiò la Città eterna (ed. Marsilio), brillante excursus di centocinquant’anni di amministrazione capitolina (sino a Clelio Darida, Luigi Petroselli, Francesco Rutelli, Valter Veltroni e Ignazio Marino) con qualche piccolo neo (Achille Ballori compare due volte come Antonio Bellori). Circondato da una giunta di amministratori preparati e volitivi, come Giovanni Montemartini, Giovanni Antonio Vanni (alto dignitario massonico, affiliato alla “Universo”), Alceste Della Seta, Eleno Spada (iniziato alla “Pisacane”) e Alberto Tonelli (quasi nessuno era “romano de Roma”), Nathan avviò un programma di “cose da fare” e le fece: municipalizzazione dei servizi, moltiplicazione delle scuole, valorizzazione del patrimonio monumentale, completamento di opere pubbliche dormienti da decenni. Mostrò che “volere è potere”.

La sua ascesa al Campidoglio dimostrava al mondo che contava (Londra, Parigi, Berlino…) che anche un ebreo e massone poteva prendere sulle spalle l’amministrazione di Roma senza mancare di rispetto né al clero né al Papa, come del resto la Nuova Italia aveva mostrato con i conclavi dopo la morte di Pio IX e di Leone XIII. Inoltre egli parlava perfettamente l’inglese, sua lingua madre, mentre un’altra parte d’Europa ammirava il tedesco non per la filosofia di Kant e di Hegel, la filologia, la storiografia di Mommsen e Gregorovius, ma perché la Germania era all’avanguardia nella produzione di armi e l’Austria lasciava che l’antisemitismo dilagasse.

L’amministrazione Nathan ebbe un compito non dichiarato e tuttavia fondamentale: preparare la celebrazione del cinquantenario del Regno e il quarantennale dell’unione di Roma all’Italia. Il governo, con Giolitti e Luigi Luzzatti, ci mise del suo su mandato diretto di Vittorio Emanuele III, il re che a Nathan consegnava di persona aiuti finanziari per gl’irredenti di Trieste e dell’Istria, come ricorda il suo biografo Alessandro Levi in Ricordi della vita e dei tempi di Ernesto Nathan (Firenze, 1927, “edizione fuori commercio”).

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Roma – Palazzo di Giustizia, sede della Corte di Cassazione

In quattro anni la Giunta Nathan inanellò una serie di successi. Giunsero a compimento opere gigantesche, come il Palazzo di Giustizia tra Lungotevere e Piazza Cavour, fu varato un eccellente piano regolatore, vennero aperti al pubblico la Passeggiata Archeologica, le Terme di Diocleziano, Castel Sant’Angelo, Villa Giulia. Sotto la guida di Giovanni Montemartini sorsero l’Azienda autonoma tramvie municipali e l’Azienda elettrica municipale. Furono aperti 150 asili, scuole (anche in periferia, nell’Agro). In pochi anni, insomma, Roma mutò volto, sino al solenne scoprimento del monumento equestre di Vittorio Emanuele II all’Altare della Patria, celebranti il Re, Giolitti e Nathan stesso (4 giugno 1911).

Ma il Venti settembre 1910 il sindaco sparò a zero non contro i clericali e Pio X ma addirittura contro il Papato in sé e la Chiesa cattolica, liquidata come imbalsamato cadavere del vecchio Egitto, “frammento di un sole spento, lanciato nell’orbita del mondo contemporaneo”. Neppure Martini sa spiegare le ragioni di tale infelice sortita, deplorata dal “Times” come prova della sua scarsa conoscenza del mondo e “di molte regole di condotta”.

sulla Torino di Rossi di Montelera…

Di tutt’altro tenore era in quei tempi l’amministrazione civica di Torino, basata sulla convergenza del sindaco Teofilo Rossi di Montelera e dell’antico massone Tommaso Villa, radiato dal Grande Oriente perché contrario all’estremismo di logge quali la “Popolo sovrano” che imponeva il giuramento antimilitarista, antimonarchico e antireligioso. Un po’ troppo per un Ordine che dichiara di non occuparsi di politica e di religione e che non per caso nel 1908 registrò la scissione dalla quale nacque la Gran Loggia d’Italia.

L’estremismo non paga. Il clima stava mutando. Il suffragio universale, voluto da Giolitti (1912-1913), colse impreparata la rete elettorale incardinata sui piccoli gruppi. A lungo incerto sulla via da imboccare, dinanzi al massimalismo e all’inconcludenza dei riformisti (sempre refrattari a impegnarsi nel governo), Giolitti propiziò l’accordo con l’Unione Elettorale presieduta dal conte Ottorino Gentiloni a sostegno di cattolici e liberali, purché moderati e anche se massoni: somma di conciliazione silenziosa e di laicizzazione altrettanto in sordina. Dopo la vittoria dei nazionalisti nelle elezioni dell’ottobre 1913, l’amministrazione Nathan si dimise l’11 novembre 1913: una data fatale. Il “figlio di Sarina” lasciò il Campidoglio il 7 dicembre seguente. L’apogeo e la drammatica fine dell’Ordine si consumarono i pochi anni, tra il 1921 e il 1925. Quella Terza Italia non fece in tempo ad “allevare” una classe dirigente diffusa; fece però emergere alcune menti elette, quali i massoni Alberto Beneduce e Arcangelo Ghisleri, che, fiero repubblicano intransigente, fu incaricato da Nitti di compiere il primo serio studio sulla “Libia” e approntò un volume eccellente.

(Aldo A. MOLA)