LEGGENDE METROPOLITANE – di Mario Anesi

LEGGENDE METROPOLITANE

Mario Anesi

Definiamo i termini. Le leggende, o le antiche fiabe, sono racconti collocati in un luogo e in un tempo mitico, a-spaziale e a-temporale, in cui fatti e personaggi – storicamente non dimostrati – vengono amplificati e alterati dalla fantasia e dalla tradizione locale.

Leggende metropolitane, in inglese “Leggende urbane”, è un’espressione impropria, perché può suggerire che queste nascano in ambiente cittadino, e ciò non sempre corrisponde al vero. Sarebbe più corretta la definizione “Leggende contemporanee”.

Un caso di leggenda nata in ambito rurale è quello delle “vipere paracadutate”: trenta, quaranta anni fa nelle zone alpine si registra un aumento della popolazione di vipere. La logica vorrebbe che questo fenomeno sia da attribuirsi all’abbandono dei casolari e dei vecchi sentieri. Invece, partendo dall’Alta Provenza, Savoia, e poi Valle d’Aosta, Svizzera, Piemonte, Lombardia e ora in Centro Italia, si diffonde e trova credito la voce che le vipere vengano lanciate da elicotteri e aerei da turismo. A chi gioverebbe una siffatta operazione? Gli indiziati sono molti: la Guardia Forestale, i cacciatori, gli ecologisti, il WWF, le Case farmaceutiche produttrici di siero antivipera. Oggi non è infrequente trovare un montanaro piemontese che non dia per certa questa aggressione dal cielo, da parte della “gente di città”.

Vipere lanciate dagli elicotteri“, e la fake news è servita

Tuttavia, come in tutte le leggende metropolitane antiche e attuali, non si tratta mai di un’esperienza diretta, personale, ma sempre di: “l’ha detto mio cognato che glielo ha riferito il nipote di suo cugino”. Non è mai rintracciabile la fonte primaria. I ricercatori inglesi hanno creato l’acronimo FOAF: Friend of a friend (un amico di un mio amico).

All’alba del terzo millennio qualcosa è cambiato. Internet è diventato, di fatto, il principale veicolo di voci, dicerie, bufale, “false notizie”, come le definiva Marc Bloch già negli anni Venti. Prima di Internet le leggende metropolitane venivano diffuse oralmente, a volte riportate da periodici locali e quotidiani nazionali, e avevano, al pari delle antiche fiabe, tante versioni e contaminazioni quanti erano i narratori. Ora, con la comunicazione telematica, a parte la velocità di diffusione, il messaggio originale si fissa per iscritto, è unico.

Marc Léopold Benjamin Bloch (Lione, 6 luglio 1886 – Saint-Didier-de-Formans, 16 giugno 1944) è stato uno storico e militare francese

È cambiata la forma, non la sostanza. Sempre citando Bloch: “attraverso le leggende gli uomini esprimono inconsapevolmente i propri pregiudizi, gli odi, le paure, tutte le proprie forti emozioni, ed anche i propri desideri reconditi”. Come nelle fiabe classiche, i racconti attuali sono narrazioni indipendenti, nate in luoghi diversi ma si assomigliano tutte, perché i meccanismi mentali, le credenze, i costumi, sono comuni a tutti i popoli in fasi identiche di cultura. Gli psicanalisti junghiani parlano di un inconscio collettivo, di residui psichici di innumerevoli avvenimenti dello stesso tipo: schemi semplici – archetipi – che emergono ogniqualvolta l’uomo arriva ad una situazione tipica.

Ma, quali sarebbero le paure recondite che emergono dalle leggende metropolitane? Sono tutte riconducibili ad una sola: la morte. Non necessariamente violenta e istantanea, anche quella parziale, subdola e lenta. La paura di tutto ciò che ci può aggredire, avvelenare, mutilare, rapire, privarci dei nostri cari.

Una paura ancestrale, naturalmente negata da tutte le persone civilizzate, positiviste e acculturate, è quella del malocchio (il malo-occhio) e della fattura. Per l’anima primitivo-magica (e non è necessario andare nella Nuova Guinea o nel Mato Grosso per riscontrarla) all’origine delle sciagure, degli incidenti, delle malattie e infine della morte c’è sempre una pratica magica operata ai suoi danni. Non si spiega altrimenti la persistenza e la diffusione delle cosiddette “Catene di Sant’Antonio”, un tempo veicolate per lettera, ora per e-mail. Lo schema è sempre lo stesso. Un invito a trasmettere il messaggio a un certo numero di persone al quale fanno seguito testimonianze “certe”: un uomo cestinò la lettera e il giorno dopo morì d’infarto, un altro seguì le istruzioni e dopo una settimana vinse un milione di dollari alla lotteria. Il pensiero che alimenta la catena è sempre: “naturalmente non ci credo, però non mi costa nulla, male non fa” oppure: “facciamo uno scherzo a quel mio amico superstizioso e credulone”.

Molte vecchie leggende metropolitane sono il frutto della paura dei “morti che ritornano” a minacciare e tormentare i vivi. Perché dovrebbero ritornare? Abbiamo visto che per il pensiero “magico” si muore solo per uccisione quindi è logico e legittimo il loro desiderio di vendicarsi.

In una ricerca condotta negli anni ’80 nelle scuole medie di Omegna il 60% dei ragazzi dichiarò di conoscere storie “vere” di fantasmi, di morti, di cimiteri, tra le quali ben 15 varianti di quella, diffusa in tutto il mondo, del “vestito impigliato al cimitero”. Ne riportiamo una: “Lo zio di un mio amico ha sentito dire che c’era uno che faceva il duro, allora i suoi amici gli dissero: se hai coraggio, vai a mezzanotte al cimitero e fai tutto il giro. Lui va, fa il giro sei volte, ma al settimo sente tirarsi da dietro. Si era impigliato. Lui però pensò che fosse uno zombi e morì di colpo d’infarto”.

Fantasmi a Roma - Italy For Movies
Film: “Fantasmi a Roma”, 1961.Un film di Antonio Pietrangeli. Con Eduardo De Filippo, Vittorio Gassman, Sandra Milo, Marcello Mastroianni, Tino Buazzelli, Belinda Lee.

Un classico del folklore automobilistico a diffusione planetaria è quello dell’autostoppista fantasma che trae origine da una serie di racconti ottocenteschi, che per mantenere credibilità si sono travestiti di forme moderne. Pur con le quasi infinite varianti la trama si può così sintetizzare: una giovane, normalmente bella e indossante un abito bianco leggerissimo, a dispetto della stagione invernale, di notte, chiede il passaggio ad un uomo, il quale pensa di accompagnarla al paese più vicino, ma, fatti pochi chilometri, in prossimità di un cimitero, la ragazza gli annuncia di essere arrivata a destinazione. Il giorno dopo l’uomo descrive a molti le sue fattezze e scopre che è morta due giorni prima. Si reca quindi al cimitero e vede una tomba fresca con già la sua fotografia.

In Italia, leggende simili sono state classificate in sei tipologie fondamentali: l’autostoppista fantasma, il fantasma al ballo, il cavaliere e il fantasma della ragazza, il fantasma della ragazza che non riesce a tornare a casa, il fantasma della madre in cerca d’aiuto per il figlio moribondo, il vetturino e l’uomo vestito di bianco.

Rimettiamo i piedi per terra. Nelle nostre leggende in quali altri modi si manifesta la paura della morte? Una casistica piuttosto ampia contempla quella per gli animali selvatici, pericolosi, che possono minacciare la nostra integrità, in modo palese o subdolo.

Abbiamo accennato alle vipere. I serpenti in genere, anche le innocue bisce, sono oggetto di molte false credenze, soprattutto nel mondo contadino. C’è la serpe che succhia il latte dalle mammelle delle mucche al pascolo o nella stalla e quella che si introduce nel letto della donna allattante e, con astuzia diabolica, prima la ipnotizza, poi introduce la coda nella bocca del neonato, facendogli così credere che sia un capezzolo, quindi sugge il latte. Il bambino inizia, tra lo stupore di tutti, a deperire e alla fine muore. C’è pure il serpente che si introduce nella bocca del contadino addormentato nel campo e si stabilisce nello stomaco. Anche qui il contadino deperisce e muore.

Una leggenda talmente diffusa in Italia, Francia e Germania da essere considerata veritiera è quella del topo delle Filippine. Le versioni sono molteplici ma in sintesi la storia è questa: un turista, quasi sempre donna, si reca in vacanza nelle Filippine (in altri casi nel Messico, nella Thailandia, in India) qui trova per strada uno strano e simpatico cagnolino che lo segue. Ci si affeziona e lo porta in patria. Dopo un po’ che lo tiene in casa lo porta da un veterinario il quale inorridito esclama: “ma questo non è affatto un cane, è un ratto, il pericolosissimo ratto delle Filippine che può trasmettere terribili malattie!”. In altri casi il ratto si mangia il gatto o il cagnolino di casa.

E che dire degli alligatori che infesterebbero le fogne di New York, presumibilmente animali ormai ingombranti gettati nel water. Secondo alcune “testimonianze” questi animali, nutrendosi degli abbondanti topi o essendo diventati cannibali, crescerebbero fino a raggiungere dimensioni smisurate. Gli zoologi ci ricordano che coccodrilli e alligatori sono animali tropicali a sangue freddo per cui non potrebbero sopravvivere ai rigori invernali di New York e Chicago ma…l’idea è tanto suggestiva da resistere alla logica.

Drain Cleaning Myths Alligator Sewer
Alligatori che infesterebbero le fogne di New York …

La moda del possesso di animali esotici ha fatto crescere in modo esponenziale la loro segnalazione in campagna e nelle periferie delle città. Non passa settimana senza che giornali e TG annuncino la presenza di “pantere”, quasi sempre nere. Vengono mobilitati vigili del fuoco, cacciatori, guardie forestali, ma la ricerca risulta sempre infruttifera. Presumibilmente si tratta di nostrani cani abbandonati e inselvatichiti. Poi c’è l’automobilista che presenta a una compagnia di assicurazioni il danno provocato da un elefante che si è seduto sul cofano della sua auto e le uova di ragno velenosissimo che si anniderebbero nei tronchetti della felicità: la casistica delle leggende sugli animali “cattivi” è enorme e faremmo mezzanotte. Andiamo avanti.

Una corposa famiglia di leggende trae origine dall’ancestrale paura di essere, noi o i nostri cari, abbandonati, rapiti, venduti o mutilati. Le fiabe di tutti i popoli e di tutti i tempi ci palesano questa angoscia. Pensiamo a Pollicino, ad Hansel e Gretel, a Cenerentola, a Biancaneve: bambini abbandonati che finiscono nelle mani dell’orco o della strega (psicanalisti, scatenatevi!). In più in questo genere di storie si interseca e inserisce l’innata paura del diverso, dell’elemento estraniante, che attenta e incrina le nostre tradizioni e le nostre sicurezze: può essere, di volta in volta, il negro, l’ebreo, l’arabo, il cinese, l’omosessuale.

Tipica è la storia della coppia in vacanza in un paese arabo. Lei entra in un negozio di abbigliamento. Il marito aspetta fuori mezz’ora, un’ora. Entra e chiede di sua moglie. “Signora? Quale signora? Qui non è entrato nessuno!”. L’uomo chiama la polizia. Si ispezionano tutti i locali. Nei casi più fortunati la donna viene rinvenuta in uno sgabuzzino già narcotizzata, pronta per essere spedita in un harem, chissà dove. Altre volte non viene trovata. Mai più.

C’è poi il timore di affidare i nostri bambini a uno sconosciuto espresso dal gruppo di leggende noto come La baby sitter cannibale. Tipica è la narrazione. Due coniugi, dovendo andare a teatro affidano il figlio ad una bambinaia – quasi sempre straniera – inviata da un’agenzia. A metà spettacolo la signora non si sente bene, tornano a casa anzitempo e trovano la ragazza che, con un’espressione un po’ assente, ha già imburrato il bambino, l’ha cosparso di rosmarino, e sta per infornarlo con contorno di patatine. Fermata e interrogata afferma candidamente che voleva cucinarlo per loro. In una versione più soft la ragazza viene sorpresa a dare al bambino una passatina sul gas, per farlo addormentare.

Nell’era dei trapianti era naturale che in tutto il mondo si diffondessero le false storie dei furti d’organo. Soprattutto in Italia – anche a Torino – il teatro della rapina si situa in prossimità di una discoteca o di un ipermercato. Questa volta la vittima è un uomo in attesa che la consorte abbia fatto le compere. Esce la signora e del marito non trova traccia, chiama la polizia, ecc. ecc. L’uomo viene ritrovato due giorni dopo in un fosso, vivo ma con una vistosa sutura su un fianco: portato al pronto soccorso risulta mancargli un rene.

Con il diffondersi di terribili malattie dilaga la paura dell’untore. Ormai un classico è la vicenda del giovane che dopo aver trascorso una notte d’amore con una bellissima ragazza incontrata la sera prima, si sveglia solo nel letto, si avvia in bagno e legge con terrore la scritta, vergata col rossetto, sullo specchio: “Benvenuto nel mondo dell’AIDS”. Sappiamo che quello suaccennato è il metodo più naturale per contrarre questa malattia ma non ci sono limiti alla fantasia: L’AIDS è in agguato nella colla dei francobolli, sul retro delle figurine e, naturalmente, sull’asse dei water pubblici…viene il sospetto che queste dicerie siano inventate e diffuse ad arte da coloro che si sono infettati nel modo “naturale” nel corso di una relazione extraconiugale.

Nell’era di Internet si sono moltiplicate esponenzialmente le leggende, o bufale, che fanno presa sulla paura di essere avvelenati, intossicati dall’industria, soprattutto alimentare, in specie se facente parte di una multinazionale. A queste false notizie siamo particolarmente sensibili e disposti a dar loro credito nel caso avessimo bambini piccoli.

Apriamo una parentesi. Le leggende metropolitane classiche impiegavano mesi o anni a diffondersi, quelle telematiche fanno il giro del mondo in 24 ore. Se vogliamo, è un bene, perché con la stessa velocità con cui vengono diffuse, sono, dagli organi competenti o da autorevoli esperti, smascherate. Secondo. Spesso “leggenda metropolitana” e “bufala” sono considerati sinonimi. Ciò è vero solo in parte: chi inventa le bufale è sempre consapevole della loro falsità. Può farlo per puro divertimento, oppure per colpire la concorrenza, commerciale o politica. È sufficiente iniettare un prodotto innocuo come il blu di metilene in una decina di pompelmi o di panettoni per bloccare per mesi un’importazione o far fallire un’azienda solida.

Un terreno fertile lo trovano le denunce degli additivi. “Additivo” è di per sé una parola cattiva, sa di non naturale, di superfluo, di utile ai produttori ma dannoso per i consumatori. La pubblicità degli alimenti cosiddetti naturali o “biologici” è abile a sfruttare questa repulsione, utilizzando spesso e volentieri la preposizione senza, che fa sempre presa: senza sale, senza lecitina, senza saccarosio – però con miele, fruttosio o glucosio – senza glutammato, senza polifosfati. Si potrebbero pubblicizzare dei biscotti affermando che sono senza esafluoruro di uranio…e nessuno lo potrebbe negare.

Circola così la denuncia che l’E330 è fortemente cancerogeno che, alla verifica, risulta trattarsi dell’innocuo acido citrico. C’è l’invito a guardarsi dagli shampoo e bagnoschiuma contenenti SLS (solfato di sodio), naturalmente anch’esso cancerogeno, elaborato per lavare i pavimenti dei garage. E la notizia “esplosiva”, è il caso di dirlo, che l’assunzione contemporanea di Coca-Cola light e pasticche Mentos ha fatto scoppiare lo stomaco di un bambino brasiliano. Gli hamburger di McDonald’s non marciscono mai perché sono sintetici, derivati dal petrolio. Non acquistate le bevande in lattina: potrebbero essere state immagazzinate in cantine infestate da topi, i quali urinandoci sopra ci trasmetterebbero la leptospirosi (di questa faccenda se ne occupò – fortunatamente senza seguito – pure Guariniello).

Negli USA circola da tempo la voce che ai bambini negli asilo verrebbero propinate caramelle avvelenate e frittelle farcite con lamette da barba. Le scie bianche che i jet lasciano nel cielo non sono solo composte di vapore acqueo ma conterrebbero agenti chimici tossici. Quali non si sa.

Una bufala circolata recentemente in Italia riguarda i numeri identificativi dei Tetrapack contenenti il latte a lunga conservazione. Succederebbe questo: il suddetto latte dopo la scadenza (in genere, 4 mesi) verrebbe ritirato, ri-sterilizzato e rimesso in circolazione con una nuova scadenza. Il lato inferiore della confezione riporta 5 numeri: 1-2-3-4-5. Se manca il numero 1 significa che il latte contenuto è stato riciclato una volta e così via, se manca il numero 5, 5 volte! Impossibile! dicono gli esperti: già alla seconda sterilizzazione il latte caramellerebbe diventando marrone.

Tetra-Pak | it.Packaging-Industry.info
Tetra-Pak

I numeri in oggetto servono a identificare la provenienza dell’involucro, dichiarano i produttori di latte.

Trovano ampio credito le leggende sugli OGM (Organismi Geneticamente Modificati). Un gustoso esempio, quello della fragola-pesce. Una persona intollerante all’albumina, contenuta nei pesci, mangia alcune fragole e immediatamente gli si scatena una reazione allergica. Spiegazione: alcuni produttori avrebbero trovato il modo di inserire nelle fragole dei geni di merluzzo, onde poterle coltivare nei paesi nordici. Fa il paio con la lepre fosforescente o lepre-medusa, inventata allo scopo di poterla cacciare anche di notte.

Può sembrare un paradosso, ma più ci avvaliamo (dipendiamo) delle moderne tecnologie – computer, telefonini, navigatori satellitari – e più le temiamo: l’uomo ha creato un Golem capace di trasformarsi in una creatura di Frankestein.

Veniamo quindi a sapere che lo squillo di un telefonino può far saltare in aria la pompa della benzina, e noi con essa, che i gestori di telefonia si sono coalizzati per addebitarci anche gli squilli a vuoto. Ci dicono che gli autovelox (di recente collocati anche nei bidoni della spazzatura…) possono essere accecati collocando sul lunotto posteriore un CD.

È nata la sindrome del Grande Fratello: quanto più forte è il nostro desiderio di guardare, spiare, documentare gli altri (lo dimostrano i filmati amatoriali di disastri e catastrofi: c’è chi anziché scappare preferisce filmare quelli che scappano) tanto maggiore è il timore che gli altri guardino noi. Si sa, per esempio, che il tuo PC fornito di webcam, ti spia, anche quando è spento. E tutti coloro che si sentono importanti sono convinti di essere intercettati.

Non ci sono solo bufale cattive ma anche quelle innocue se non divertenti, come quella delle bottiglie d’acqua anti-cani maleducati, che non si sa chi l’abbia inventata e di cui nessuno ha saputo spiegarne la logica o quella sull’origine della misura dello scartamento dei binari del treno. E poi quelle buonissime, che soddisfano il nostro desiderio di sentirci buoni e generosi, vedi gli appelli medici per salvare bambini condannati alla morte o la raccolta di un certo quantitativo della carta stagnola dei pacchetti di sigarette e dei cioccolatini per regalare un cane a un cieco (leggenda circolante in Italia negli anni ’50. Moltissimi, soprattutto ragazzi, la fecero e, carichi di stagnola, andarono in Comune, in Questura, in Parrocchia, all’Unione Italiana Ciechi, per sentirsi dare del fesso).

La casistica delle leggende metropolitane è immensa e aumenta di continuo. Su Internet troviamo decine di siti anti-bufala ma non tutti sono affidabili – occorrerebbe un sito anti-siti-anti-bufala – si va da quelli possibilisti a quelli negazionisti a prescindere. La logica di questi ultimi è semplice: un fenomeno che non si è ripetuto o che non è mai stato fotografato è un falso. Viene così negata l’esistenza dei fuochi fatui e del “raggio verde”. Fino a vent’anni fa il “pesce siluro”del Po, non ancora catturato e fotografato, per loro, era una leggenda.

Concludiamo con due considerazioni.

Perché siamo così vulnerabili e inclini a dare credito a notizie non dimostrate, quando non assurde, illogiche, ma comunque straordinarie? (ho detto siamo, chi non c’è cascato almeno una volta, anche temporaneamente, alzi la mano).

Una ventina d’anni fa, quando in Italia fu decretato l’obbligo di indossare le cinture di sicurezza, si diffuse rapidamente la notizia che a Napoli confezionavano magliette con stampata l’immagine della cintura e tutti gli italiani la presero per vera. L’anno dopo un serio ricercatore delle leggende metropolitane dichiarò, in un noto programma televisivo, che era stato lui l’ideatore della bufala, tanto per vedere se gli italiani se la sarebbero bevuta. Quale meccanismo mentale aveva avviato? Una caratteristica delle bufale è fondere elementi di verità con altri verosimiglianti e con altri ancora del tutto immaginari. Se l’inventore di questa avesse detto che le magliette si producevano a Torino o Milano, nessuno gli avrebbe creduto ma, nell’immaginario collettivo, dai napoletani ci si può aspettare ogni sorta di “creatività”.

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La pigrizia mentale è la madre del pre-giudizio e allora il possibile diventa probabile e il probabile certezza. Aggiungiamo il principio della fiducia-autorevolezza: normalmente la notizia ci perviene da un amico, del quale riconosciamo la serietà, il buon senso e l’onestà intellettuale.

Seconda considerazione.

Perché quando veniamo in possesso di una notizia non dimostrata ma originale siamo così veloci a divulgarla, soprattutto agli amici? È una normale reazione umana, non sintomo di scarso intelletto. È il sottile piacere di far sapere agli altri che noi sappiamo, che siamo in possesso di un’informazione riservata a pochi iniziati, che facciamo parte della cerchia elitaria di “coloro che sanno”, di quelli che stanno nella stanza dei bottoni. Questo ci fa sentire importanti. Anche se solo per un giorno.

Nella stanza dei bottoni - D.it Repubblica
“La stanza dei bottoni”

Bibliografia:

Marc Bloch: La guerra e le false notizie – Donzelli

Vladimir J. Propp: Le radici storiche dei racconti di fate – Boringhieri

Cesare Bermani: Il bambino è servito, leggende metropolitane in Italia – Dedalo

Cesare Bermani: Spegni la luce che passa Pippo. Voci e miti della storia contemporanea – Odradek

Paolo Toselli: Storie di ordinaria falsità – BUR

Massimo Polidoro: Complotti, bufale e leggende metropolitane – Focus, Mondadori scienza

Lorenzo Montali: Leggende tecnologiche…e il gatto bonsai mangiò la fragola pesce – Avverbi

www.attivissimo.net : Servizio antibufala